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Pagine critiche

Molti anni fa, vissi sul Castello d’Ischia. Conobbi, allora, un giovanotto, il quale, sapendo che m’interessavo di pittura, mi mostrò i suoi disegni e mi chiese se io scorgessi in lui del talento. Era timido, modesto. Lo dovetti incoraggiare a continuare, persuaso che ne valeva la pena. Dopo vent’anni, ho riveduto lui e i suoi quadri. Sono rimasto veramente ammirato, e dei soggetti che dipinge e della sua forza d’espressione. Tutti i suoi quadri, anche quelli di piccolo formato, hanno un’eguale intensità espressiva. Una pittura scialba sarebbe inconcepibile per lui.

Egli domina la violenza del colore, che s’armonizza con la linea semplice ed essenziale delle sue figure umane. Ma sempre, sia che dipinga sua madre, sia che dipinga figure di santi, riesce ad esprimere con vigore il sentimento e la devozione del suo cuore.

Le sue opere ricordano gli affreschi del tempo di Giotto, interpretati con gusto moderno. Credo che Mario Mazzella sia uno dei pochi pittori veramente religiosi, il quale potrebbe decorare delle Chiese con affreschi.

E strano che non abbia imboccato questa strada, e che non gli siano state aperte tutte le porte per questo genere di lavori.

Lieber Mario Mazzella, ich wuensche Ihnen dass Sie weiter mit dem Herzen malen moegen, jene Menschen und Heiligen, die zu Herzen gehen.

EDGARD KUPFER-KOBERWITZ  (1958)

…il Mazzella comunica il piacere del dipingere attraverso la sua audace semplificazione e nei contorni di figure semplici e dignitose, nelle quali si esprime il filosofico piacere dell’artista per l’organizzazione e per la scoperta dell’unità e dell’armonia delle cose. Egli impone un ordine musicale a tutta la sua opera, senza ambiguità ed incertezze; il disegno ed i colori trasmettono un senso di compimento e di mistero, di movimento e di riposo. Vi sono scene di persone che riposano, di una giovane donna in attesa, la forte figura di una madre all’antica (qualcosa come una custode dei riti, una guardiana della Fede, sognatrice di Cristo). Tra i suoi soggetti ricorrono spesso scene di gente che lavora nella terra, contadini con conigli nelle braccia, o battelli da pesca nelle vicinanze di una chiesa (e qui il lettore può entrare nel regno di suoi sogni).

Un’altra osservazione: “La deposizione dalla Croce”- qui è fissato il momento in cui, dopo la tempesta, le figure, piene di Fede e di tensione, stendono la sindone nello spazio che circonda il Cristo. Ma il Cristo non è visibile. La Sua presenza, forse, appare nella vitale radiosità delle cose; lo si sente, non vi è dubbio, tra la gente. Ricordo un’altra immagine del Mazzella: una chiesa gialla a Ponte, un cielo verde, un fiore colmo di rugiada.

Si tratta di pittura secondo la tradizione umanistica italiana; ciò che importa è la storia umana. L’astrazione non disumanizza le cose: uomini, donne, mare, paesaggio, muli, frutta, tutto viene rappresentato per il suo significato umano; il poterlo scoprire, questo significato umano, oggi come una volta, nella commedia o nella tragedia delle cose, è - mi pare di importanza preziosa per gli artisti italiani del nostro tempo...

JOHN TAGLIABUE (1959)

Incorrotto da scuole, non contagiato da chiesuole, egli interpreta in maniera rigorosamente moderna i caratteri architettonici dell’isola araba-mediterranea, cui non disdice l’influenza del barocchismo spagnolo che il Mazzella pianifica in una tonalità di primitivo. Allo stesso modo nella composizione del ritratto e della figura lascia intatta la personalità del soggetto nella sua atmosfera spaziale e porta alla superficie le segrete stratificazioni razziali greca romana saracena che sono analiticamente nel tipo ischitano.

MANLIO MISEROCCHI (1960)

Come tagliata nel sole, come la roccia nella sua isola, come i fuochi e i bagliori con cui abbacina il sole pagano, la pittura di Mario Mazzella solidifica, scolpisce a vigorosi colpi il suo soggetto entro il dolce lineare confine delle linee e dei contorni. Ha forma di vetrata, ha sapore cauto e lievitato d’incenso o ha la viva intimità d’un solido angolo di pace, ed è buona, essenziale pittura.

GABRIELE MANDEL (1964)

...talento che poggia sul rapporto di termini essenziali del vero. Colore convinto, se pur erede del primo anticonformismo. Forma solo in apparenza cubista, costruita per sintesi non spoglie d’umanità. Disegno non indulgente a “pittoriche” approssimazioni.

Singolare la distribuzione radiale delle cose e degli interspazi che segue la legge della propagazione elastica, a volte anche nei solidi. Come uomo, Mazzella rifiuta il successo del bello, per il buono, la libertà non inconscia ma secondo l’illuminismo partenopeo, forse del Galiani, per cui libertà è, sì, illusione ma basta a creare coscienza, quindi fede.

FAUSTO CIMARA (1966)

Mazzella unisce i suoi soggetti nei contorni precisi delle cose, senza far perdere per questo la loro espressione pittorica.

Il suo tratto molto chiaro marca l’ombra, ed un limite, e lega tutto insieme in un blocco di composizione unica. Per questo egli ha l’abilità che aveva il Casorati.

La sua pittura, da una parte diventa vigorosa per il sostegno della sfumatura e nel chiaroscuro portato al forte contorno; dall’altra parte questa pittura è chiara, graziosa, nella scelta felice dei colori e la sua consonanza costante. Per la sua grafica e il carattere fortemente melodioso dei suoi colori, l’artista arriva a dei felici momenti d’una armonia grande; lui rappresenta a noi una “verità” predisposta secondo degli schemi e dei canoni d’una simbolica bellezza superiore.

FRANCO D’ASPRO CEGLI (1967)

Con una pittura approfondita dall’osservazione, dall’intelligenza e dal senso religioso, il Mazzella ottiene risultati notevoli, non transitori: armonia di composizioni veristiche e di intima eleganza isolana così come i motivi dei paesaggi dei pescatori a lui cari. La solida base pittorica si evidenzia nel disegno, nella composizione e nello studio del colore come in “Venditrice di anguria”, dove ogni elemento è un tono, un’ansia, uno spunto, un ricordo, una vena narrativa, un sapore di Ischia tra il mitico e il nuovo...

...I gesti dignitosi e familiari nella più semplice naturalezza quasi dimessa della maternità della donna del pescatore, sono un vasto respiro di poesia dove tutto è semplificato con un linguaggio senza aggettivi, chiaro e rigoroso. La forza plastica dell’immagine è tradotta e risolta  nel gesto umano, nell’espressione naturale di un atto, di un momento di vita colto dal Mazzella con spirito mistico.

I soggetti sono sempre trascorsi da un senso di mistica sofferenza, la linea, che nel paesaggio è un tono di colore come segno di quella sua particolare maniera di comporre forme e spazi con ritmi piani e quasi geometrici, nelle figure, diventa morbida, soffice ed acquista un’intensità di movimento e di espressione, ma, la linea, è anche la guida al rapidissimo trascorrere della luce, il teso legame tra figure e spazio, la manifestazione di un movimento che coinvolge nel suo ritmo morbido, ogni espressione, ogni atteggiamento interiore...

“Il caro volto materno” è reso con accenti di pacata, inconfondibile tenerezza; la volontà drammatica, estranea all’anima del Mazzella fino a questo momento, si rivela invece attraverso questo ritratto, con profonda coerenza a quello che è il suo più forte sentimento: l’amore per la madre. Si rivela lo stile austero, serio e insieme forte, la sua maniera semplice di presentare un soggetto e la capacità di renderne il carattere con un sereno equilibrio. La diffusa vitalità luminosa che fa impallidire i grigi dove si concentra un sentimento di vita interiore assorta e sospesa, che non degenera mai nel sentimentale perché è forte e tenero insieme e consente al pittore un’ampia facoltà narrativa assorbita per intero dall’espressione del volto, dall’intensità dello sguardo.

ELISABETTA RANUCCI (1967)

La pittura di Mario Mazzella resta sempre, pur col passar degli anni, anche se più esperta, primitiva, popolare e poeticamente pittoresca; e ciò soprattutto quando si tratta di aspetti e costumi dell’Isola d’Ischia. Un’Ischia senza tempo, fuori del tempo.  

La sua arte trova la propria validità più emotiva in un profondo sentimento religioso e nel rap porto del sentimento con la natura e con gli uomini.

Egli è pittore sacro anche quando dipinge la giovane moglie e il bambino nelle domestiche cure di una giornata sempre festiva a cagione della sacralità degli affetti e del comportamento. La sua pittura tende sempre alla sintesi e la spatola lo libera da ogni tentazione di bravura pittoricistica. Egli mira sempre idealmente all’affresco, che è pittura religiosa per eccellenza.

CARLO BARBIERI (1968)

• Mario Mazzella ha raggiunto oramai una sua particolare fisionomia. Sa realizzare un clima personalissimo con una geometrica luminosità che pur richiamando alla mente Casorati, non ha nulla di intellettuale o di metafisico, di freddamente premeditato, ma corrisponde ad una autentica luce dell’isola, nelle ore in cui il sole è a picco, oppure quando i suoi raggi sono radenti, all’alba o poco prima del tramonto, sicchè i contorni delle ombre sono precisi e nitidi, stagliati in un cielo intensamente azzurro, disegnato di piccoli cirri, come navicelle angeliche. Trasformazioni di paesaggi, di architetture popolaresche e di figure umane, di animali e di pesci, di vegetazione e di frutta, reinventati in una sintesi dove specialmente la linea curva crea dei ritmi particolari, e dove tutto sembra immerso in una aria di rasserenante dolcezza.

Esprime in modo personalissimo l’anima dell’isola e della gente che vi abita sempre, una fisionomia che la clientela riconosce ed apprezza.

Mario Mazzella ha un aspetto mitissimo, e rassomiglia alla sua pittura un poco innocente, di una ingenuità raffinata e sapiente...

...E una pittura solare che affascina specialmente gli abitanti del nord, rendendo luminosi i loro soggiorni nelle case avvolte di nebbia o immerse in lunghissimi crepuscoli, una pittura che può evocare una dolce vacanza e il calore di una cordialità tutta mediterranea, e con la sua immobilità un poco magica far ricordare il senso di pace e di serenità di certi meriggi, nei quali persone avvezze al ritmo frenetico della città, trascorsero le loro ore migliori, sdraiati vicino al canto lento del mare, immersi nel sole. Il mare di Mario Mazzella, ovunque esso appaia, e coi colori più diversi, d’una realtà sempre trasformata, è davvero una specie di tranquillante, una finestra verso un infinito ineffabilmente lieve e sereno.

Mario Mazzella è il poeta che sa rivelare questo mondo autentico, con le sue speranze, la sua religione, la sua inappagata vocazione alla speranza e ad un futuro sereno, accanto alla moglie e al figlio.

BRUNO PASSARIN (1968)

• Nelle opere del pittore d’Ischia, Mario Mazzella, si rivela una forza nativa che rende intuitivamente espressivo il carattere delle figure e il paesaggio isolano: linee scarne, scavate, primitive, essenziali, nella pittoresca ambientazione dei luoghi che, anche nell’immaginazione dell’artista, si configurano di una intatta pittoricità.

Questo ideale antico del paesaggio e delle figure ischitane è corroborato da un disegno che è alle radici della pittura, come si evidenzia con particolare efficacia costruttiva nei nudi femminili, nel “Volto della Mamma” e nelle scene popolari e di costume (chiesette, case, paese e figure), dove Mazzella semplifica in sintesi caratteristiche gli aspetti della sua isola,raggiunta dai segni della civiltà meccanizzata.

La forza e il sentimento nativo dell’arte sua consentono a Mario Mazzella di superare le difficoltà derivanti dagli errori della contestazione che insidia i valori artistici e spirituali e costituisce una minaccia per tutti quelli che, come lui, intendono salvarsi dal caos dell’arbitrio. Egli è animato dal proposito di rendere omaggio alla sincerità delle intenzioni artistiche, volte al rispetto della tradizione delle arti figurative moderne, cui si connettono le ricerche di un “nuovo” che sia anche valida espressione locale e realizzazione organica di un’arte nativa.

 ALFREDO SCHETTINI (1969)

• ...Mi pare che Mazzella, nato in un’isola - Ischia - dove l’architettura naturale è fatto organico, dove cioè le case e le chiese, le darsene e i depositi sono soltanto il prolungamento di pietra del gesto dell’uomo ovvero il riflesso concreto dei suoi sentimenti e pensieri, nonchè dei suoi affetti, abbia fin dalla nascita assorbita una verità mediterranea elementare ma validissima e bellissima: essere l’arte una continua misura umana, una ripetizione o moltiplicazioni di fatti umani fino a fare della struttura umana e della fabbrica una sola verità. Ecco perchè, mi pare, egli è andato come Cèzanne tanto vicino a questa verità di pietra e di sangue insieme e come dipingere una chiesa isolana o una madre isolana necessiti, per lui, dello stesso impiego di strutture geometriche, degli stessi volumi di solidi senza deluenze di chiaroscuro impressionistico, senza il capriccio lezioso del ghirigoro elegante, del decadentismo, senza l’indulgenza esteriore alla falsa geometria ornamentale della decorazione.

In Mazzella mi pare che codesto “esprit de gèomètrie” non escluda il sogno, la felicità immaginativa, la fanciullesca meraviglia dominante certe spiagge pressochè tonde che abbracciano la rupe favolosa del Castello aragonese e barche simili a grandi bagnanti sdraiate e immobili già alle soglie di quella immobilità metafisica che fece grande certa pittura di De Chirico e di Carrà, anche di Casorati nei suoi bianchi fulminanti e intensi. Così certi ritratti di vecchie signore si stabiliscono scandendo una loro partitura di struttura geometrica con un rigore d’accento che stupisce in un ambito di estrema provincia meridionale e ricordano perfino, magici riflessi, le inquadrature di Picasso quando faceva la Stein...

MARIO STEFANILE (1970)

• Nell’arte del Mazzella, la vivacità e la purezza s’intrecciano per elevarsi verso la bellezza.

SOPHIE KRAUTHENKO (1971)

• Mario Mazzella, un artista straordinario. Forme semplici, chiare ed evidenti con colori pieni di vita.  Il Mazzella vive in un’arte luminosa; nessuna incertezza; in una sola parola: un carattere esemplare! Una stella nella pittura del nostro tempo.

T. GISIN (1971)

• La importanza della linea e la spontaneità delle composizioni evidenziano l’intimità di senti menti dell’artista. Mazzella sa cogliere nei paesaggi angoli vivi e significanti e tradurre in sintesi l’essenziale.

MANCO GRECO (1976)

• ...L’arte di Mazzella, è stilisticamente netta, precisa, lineare, impostata su un rigoroso disegno cromatico e su una severa disciplina del colore.

Non v’è dubbio che dal filtro di una certa esperienza cubistica l’artista abbia tratto quella sua caratterizzante capacità di dare rilevanza volumetrica al tessuto pittorico e la materia sembra, a volte, modellata dal bulino più che dal pennello o dalla spatola.

Le figure, delineate nello spazio prospettico con salda struttura architettonica, si staccano con nitida precisione dagli sfondi e il colore, dai caldi toni mediterranei, si raggruma nella modulazione espressionistica e ne pietrifica il significato. Che è sempre quello di una testimonianza umana, in una proiezione senza tempo che rende l’essenza dell’immagine, con viva scansione dei volumi-piani, nell’impatto immediato con la suggestione memoriale.

Una sofferta umanità, che vive e palpita nel tema della solitudine, della malinconia, dell’amore, dell’attesa illuminata di speranza.

Talvolta la figurazione si colora di romantica inquietudine nell’immagine della donna, pensosa e assorta, che richiama al pittore il ricordo nostalgico della madre, dal volto inciso dal segno di dolente pietà e di solitarie memorie.

Sono pensieri così carichi di sentimenti che il linguaggio, anche se essenziale e decantato di ogni sterile virtuosismo formale, trasfigura intensamente in una dimensione universale.... «...Il pescatore solitario, La barca abbandonata, La spiaggia deserta» sono opere icasticamente rappresentative del sapore di una natura che nell’intimità domestica rivela il segreto di memorie remote e realtà sognate, come una creatura in un soffio di struggente malinconia...

ATTILIO IOVINO (1976)

• ...Le donne dal volto ieratico camminano nelle sue tele con vasi, pesci, colombi, pani, quasi andassero sempre in processione, dietro la statua del Santo; ma non incedono tra fuochi di artifizio, si nutrono di silenzio, di preghiere: quanto esse hanno in mano, simboleggia l’offerta, nel gesto di un antico rituale.

La storia di Mazzella è iscritta nell’aureola del Cristo e nel cercine che le donne dell’isola portano in capo appunto come un’aureola: tuttavia il Cristo sanguina un preziosissimo sangue nero, le donne piangono senza lacrime per un dolore che le trasforma all’improvviso nelle tre Marie ai piedi della Croce.

...Le sagome compatte delle donne di Mazzella, nonostante la rozza architettura e il colore elementare di cui sono impastate, accampano lo stesso il diritto alle apposizioni; e, infatti, si stagliano in un cielo che le riflette intere, accogliendole con il loro antico dolore di eterne scampate al naufragio della vita.

Lui, Mazzella, le scava nel blocco di un solo colore, e sono sinanche, oltre che dipinte, scolpite, nella lava fredda di un vulcano misterioso.

In tal mondo arcaico, scampato al fuoco dei vulcani, Mazzella è solo e, per sopravvivere, ha lo spazio della tela, sconfinato come un pianeta da popolare ogni giorno con un pane, un corbello di pesci, una rete che fa da mitico fondale al sole, alla luna e alle cento cupole delle chiese.

RAUL MARIA DE ANGELIS (1978)

• Un pane un pesce, un’anfora di vino: i primi - direi primordiali - elementi mistici della pittura di Mazzella. Il mare come presenza assoluta ed inequivocabile, protagonista o tela di fondo, elemento decorativo da mosaico bizantino. Le case, come architravi della costruzione poetica dell’artista. E poi: le donne. Matriarcali e possenti, arcaiche e monolitiche, presenze cosmogoniche nell’odissea ischitana che questo Omero autoctono, nato alla pittura quarant’anni fa, racconta con metodica, quasi puntigliosa aderenza al vero.

Un vero però traslucido e trasfigurato, moderno ed antico. Eterno. Che assomma il segno preistorico e rupestre al primordio barbarico, il germoglio luminoso di Veda al fatalismo atarassico dell’oriente più profondo, l’eleganza ellenistica alla meditazione antelamica, l’elevazione martiniana alla drammaticità masacciesca, i ricami e scoperte che furono il privilegio rinascimentale italiano e fiammingo, fin giù alla delicata, poetica e sensuale coloritura ambientale di un Carrà. Troppi ricami per essere ritenuti a spiegare la genesi dell’artista, quindi nulli...

Mazzella ha compiuto sulla tela e attraverso la materia cromatica un cammino e un discorso a rovescio per giungere all’essenziale, rifiutando la facilità degli intellettualismi astratti e dei vaniloqui cerebrali. Ha scelto la strada più difficile, quella della pienezza in alternativa ai vuoti, ma rendendola preliminare ed esiziale, perciò universale e carismatica...

ENRICO GIUFFREDI (1978)

 • Nei lavori di Mario Mazzella, traspare una dichiarata linearità, che magistralmente affiancata dalla cromia essenziale, vitalizza uniformemente l’opera. E’ un modo espressionistico di affidare al segno, i valori contenutistici del linguaggio, che l’Artista conduce linearmente, portando in avanti un Suo concetto e un Suo dialogo coloristico. Nei toni, - ottimi all’esame analitico - vi è una pastosità d’insieme creata da lucentezza amalgamata alla cromia della sua terra, Ischia, una delle isole più belle del napoletano. Egli, attraverso rapporto figura/colore, non solo esprime un suo momento creativo, ma lo avvalora, esternando quanto deve amare, quanto deve rilevare, in un contatto continuo con l’ambiente: soggetto unico. Ed ecco che la figura, caratteristica e delimitata, la suggestiva ambientazione paesaggistica, e la poesia voluta, e creata dall’affiancamento di questi temi, portano al completamento dell’opera, con valori contenutistici ben precisi.

Pittoricamente, è maestro per il colore, un colore il suo che avvince e rende, in aderente veridicità con il soggetto. Come base, dobbiamo riconoscere che, il disegno è basilare nella costruzione di qualsiasi soggetto. E ne esce, un confronto, uomo natura che è vitale, pieno d’amore...

CAMILLE VALMANTE (1978)

• ...Mario Mazzella ha una sua identità artistica e inconfondibile, realizzata attraverso originali moduli cromatici e volumetrici, senza però ripudiare il figurativo tradizionale, ma facendo di esso un’interpretazione personale atta ad esprimere in chiave artistica la visione della vita e delle cose.

Il suo carattere mite e malinconico sembra proiettarsi nelle sue opere, nel ritmo pacato della linea, nell’espressione dei volti femminili. Le umili donne dei pescatori sono spesso il soggetto preferito delle sue composizioni: dal loro viso non traspare angoscia o gioia, ma nobile e malinconica compostezza, come nella tavola ad olio intitolata “Maternità”. Altre volte questa severità, che sa di antico, dei volti muliebri, è come mitigata da una grazia estatica. La composizione “Fanciulla alla finestra” ne è un esempio eloquente e poetico. Alcune teste femminili, dolcemente reclinate da un lato, ricordano le sculture di Scopa, l’artista greco del IV sec. a.C.. Il disegno vigoroso e la linea decisa sono ancora il motivo conduttore di molte composizioni recenti, ma il cromatismo non appare così solarmente aggressivo come una volta, quando le calde tonalità del giallo, del rosso-marrone trionfavano in ogni tela.

Forse il pittore ischitano, che sta attraversando un secondo periodo artistico felicemente creativo, ai colori accesi della giovinezza preferisce quelli più delicati della maturità, quando le emozioni diventano meno vitali e lo spirito ama ripiegarsi su se stesso, avvertendo esigenze interiori più elegiache. Infatti, le tonalità cromatiche presentano una loro leggerezza quasi aristocratica, specialmente nelle serigrafie, che a volte hanno la trasparenza luminosa del settembre ischitano.

Piacevolmente statica è la natura, che fa da sfondo agli scorci architettonici e alle figure femminili, anch’esse immobili nel loro stupore estatico o nella loro pacata malinconia

ANTONINA GARISE (1980)

• ...La sua pittura è sì dolorosa come ogni cosa umana, ma serena e composta, cristianamente rassegnata alla tragedia che portiamo in noi; la stilizzazione delle figure costituisce perciò anche un segnale dell’immutabilità, nel bene, come nel male, dell’essere umano. In questo senso l’Isola è anche il segno della contraddizione perenne tra solitudine comprendente e compagnia infeconda, senza discorso creativo. Perfino le barche riescono a prendersi per mano, in un raro paesaggio senza uomini, attonito ma intimamente felice perchè pago del mistero noto solo a chi non sente l’ansia stupida della fuga.

Si aggiunga quello che è il carattere essenziale della sua pittura: la dimensione spaziale, che, se ben si guarda, non è affatto gigantismo, ma piuttosto, necessita di collocazione, per virtù di contrasto, del contenuto popolare, dimesso, umile, quotidiano in una perenne festa di spazio luminoso, più che aristocratico, umano-naturale. Non è un caso che raramente le nature morte campeggino in Mazzella prive di figure umane: egli tende, con tutta evidenza a un equilibrio di rapporti, a una ripresa, forse di ascendenza umbra (di qui anche la tendenza religiosa, che condivide con altri artisti isolani) del motivo umanistico, e più tardi romantico, dell’unita dell’uomo con la natura.

Poi si fanno gli avvicinamenti, vengono fuori i ricordi, le ricerche di “citazioni” anche tra i grandi del Novecento. Tutto bene, purchè non si dimentichi il mondo, sospeso tra i due estremi che si sono accennati (la passione del limite e l’anelito alla spazialità grandiosa), che Mazzella si è scelto. Con un atto di libertà necessaria, paragonabile a quello della sua come della nostra nascita.

RAFFAELLO FRANCHINI (1981)

• Nell’opera di Mario Mazzella rivivono intime tensioni che spesso lo inducono a “dire” a “narrare” e poi anche a “scrivere” sulla tela le vicende della sua terra e della gente che lo circonda. Del suo interessante operato artistico, la parte più nobile è il suo impegno artistico-sociale che, a chiare lettere, si legge in ogni sua opera.

Il colore, dal Mazzella magistralmente “manovrato”, è senz’altro l’elemento centrale in tutte le sue opere. Dico, però, che l’anima, corposa e vitale, del suo “progetto-messaggio” si identifica già nello studio della sua primissima elaborazione; laddove, cioè, il segno grafico, nudo e senza alcun avallo coloristico, interviene con la sua prepotente efficacia per spiegare effetti di positiva ed immediata penetrazione col solo presupposto di linee decise e profondamente sentite. Purezza di linguaggio, pertanto, che, sovrastando la sua stessa capacità di manovra coloristica, sancisce definitivamente una sua inequivocabile purezza di stile.

La componente che domina in ogni sua opera è la figura umana in tutte le sue quotidiane tensioni e il suo organico connubio con l’ambiente tipico del meridione. Germina in essa, fors’anche non confessata, la problematica delle tante attese sociali e la necessità di superamento dei margini del “civilis”. E questo secondo me, l’aspetto più marcato delle risorse emotive e delle capacità di analisi dell’artista che, pur non rifiutando il rituale antropologico, propugnano una delle più recenti rivendicazioni socio-culturali ancora oggi drammaticamente presenti nella cosiddetta “questione meridionale”.

FRANCO LEGROTTAGLIE (1981)

• Apprezzo molto in questo pittore una certa delicatezza, la sua completa visione di sensibilità e di fascino. Afferma una bella professionalità tecnica un linguaggio autentico come pure una duttilità di stile ed una leggerezza di scrittura.

FRANCOIS PERCHE (1981)

• “La luminosa bellezza plastica di Mario Mazzella, erede del classicismo mediterraneo in cui il dramma della vita tende a risolversi in un canto serio, sereno e velatamente melanconico..."

SEBASTIANO TILLIO (1981)

• “.... opera grafica, ricolma di colore, di prezioso segno, e di personalissima conduzione. Il tema, le figure, il soggetto marino sono un momento di sereno e distensivo pensiero culturale. Serenità, per l’impiego di quei bianchi, di quel celeste, e di altri toni, che sembrano abbracciare cielo e mare, e che per l’impiego di piani coloristici, fanno affondare il segno grafico. Sono i suoi colori ad affrontare il visitatore, il critico, e lo affrontano in modo assoluto: quasi a significare quanta luce, in essi, sia racchiusa. Un modo di rendere il tema grafico, quasi un lavoro completo, una interessante e valida opera: che l’artista riesce a concretizzare. Mario Mazzella, che qui abbiamo imparato a conoscere - attraverso le sue opere - è artista completo, e riesce a illuderti come se lo avessi già conosciuto, già avuto modo di ammirare. La sua opera, ai tuoi occhi, non é nuova, è un momento sereno, che egli “ti rifà conoscere”, come a voler dire quanto grande sia l’arcobaleno con i suoi colori, e quanto amore possa racchiudere il cielo, quando all’orizzonte si unisce al mare. Un poeta, un amante della sua isola, che noi ben conosciamo, e che qui a Bonn, egli ci ripropone, con paesaggi e figure. E un cultore, dei simboli della sua isola, un amante della sua gente, un attento critico del costume, dei modi e degli stessi movimenti di ogni paesaggio. Quasi, come un voler imprigionare, i simboli di un momento di lavoro, o la trasparenza di una vela e di una rete.

Ogni figura, ogni particolare, assume, nella linea del Mazzella un significativo momento di vita, e persino in grafica, egli riesce a rendere mosso, tutto quanto un foglio da disegno può contenere...

HANS WEISS (1983)

• …E qui bisogna fare i conti con l’uomo Mazzella, con la sua irriducibile fede, le sue credenze, i valori che si porta dentro dall’infanzia. Rifarsi al suo modo discreto e appartato di vivere; alla sua naturale ritrosia verso tutto ciò che è appariscente e plateale; indagare i complessi rapporti che lo legano all’isola e alle sue tradizioni, e che non sono soltanto un fatto di nascita, ma direi di relazioni, d’incontri, di riferimenti sicuri, senza i quali sarebbe perduto…

…Una pittura fuori del tempo, e questo non tanto perché vi circola un’isola della memoria: quella della prima infanzia… quanto per il sapore di favola che l’accompagna, per la freschezza del racconto, per quell’atmosfera suggestiva che è a mezza strada tra il sogno e l’amarezza del risveglio.

NINO D’ANTONIO (1983)

• …I suoi quadri, nell’essenzialità figurativa e stilistica che li fa riconoscere a prima vista, denotano l’ispirazione lirica dell’autore, la sua tensione a risolvere nell’armonia della composizione l’intricato moto dell’esistenza… la visione della vita che emerge dalle tele del Mazzella si nutre di evocazioni che sembrano avvolte nel silenzio, tese a celebrare gli atti essenziali della vita nella loro perenne sacralità…La luce che splende nei quadri di Mazzella è una luce ischitana, capace di esprimere l’anima segreta: il mito domestico… Come Ischia deve tutelare il proprio ambiente, così deve tutelare la propria storia, i molti documenti della sua tradizione, e deve essere attenta ai suoi uomini di cultura e di arte che ne sono i continuatori.

EDUARDO MALAGOLI (1983)

• Il mito domestico di Mario Mazzella

Nascere è un caso, ma è anche un destino. Sarà così per tanti scrittori, musicisti, architetti, pittori. Di Giacomo sta a Napoli come Verga alla Sicilia, come Picasso alla Spagna e de Chirico alla Grecia...

Senza Ischia -  l’isola del fuoco e della salute, delle sorgenti benefiche e della solitudine come cornice di ogni fenomeno -  non ci potremmo spiegare il destino pittorico di Mario Mazzella. Mazzella è un’essenza di Ischia, una sua maniera di stare sulla terra. In limine e sulle rive del sogno, Mazzella è il suo condensato o uno dei suoi possibili riassunti. Protagonista delle tele del nostro pittore è il mare: il mare come specchio delle ambiguità e come fonte rigeneratore di tutte le cose; un termine di confronto tra lo sporco e il pulito, tra ciò che si perde e ciò che si salva.

Ma diversamente dalla campagna, il mare è insondabile, sfuggente. Bisogna scoprirlo ora per ora. Il suo è un messaggio sfingeo. E nella pittura di Mazzella c’è il tormento di questa conoscenza e il risultato di questa lezione. C’è la sopportazione del peso dell’esistenza e, come appunto suggerisce il mare, un segno di speranza sulla linea dell’orizzonte.

È forse questo uno dei motivi per i quali tutte le immagini di questo pittore sembra provengano da lontano sotto la scia di un velo misterioso che ha indotto molti suoi critici a parlare di una pittura collocata fuori del tempo. Ma a ripensarci, si potrebbe dire il contrario: che la pittura di Mazzella, nella sua olimpicità e nella straordinaria precisione del le cifre, è come une ferita continuamente rimarginata, che ha inglobato il dolore e lo ha lasciato in sospeso allo stato di fantasma.

Si guardi, a questo proposito, il «Volto della Madre». Nelle rughe di questa donna ci sono le pieghe della storia come somma di abusi quotidiani che non riescono a sconfiggere la resistenza degli umili e la loro finale vittoria. Quale vittoria? Ma il passaggio dalla cronaca aspra alle cose che vi stanno al di sopra, alle cose che contano: una sorta di autonoma felicità di esistere. Soltanto gremita di questi significati la pittura di Mazzella la si può collocare fuori del tempo, che è poi la maniera migliore e più delicata (e forse anche più sofferta) di rientrarvi.

Si capisce che Mazzella ha studiato a fondo De Chirico, Carrà, Van Gogh, Gauguin e, più vicino a lui, Emilio Notte. Ma il suo lavoro è stato quello di “arrenderli” alla sua domesticità; di portare la loro grande lezione nei termini complessi del suo mondo semplice; sicuro che nella pittura, più che in tante altre arti, non è possibile barare, essere diversi da quel che si è. Per questo motivo Mazzella “ non farà metafisica” alla de Chirico; non cospargerà sulla sua spatola i colori allucinati di Van Gogh o la geometria arida di Notte.

Mazzella è, per così dire, un allucinato naturale e nasce e vive in un ambiente carico di visioni nascoste e palesi e in un’Ischia degli anni andati, prima del saccheggio turistico, in cui la vita contadina e marinara rassomigliava a quella, in continuo pericolo di carestie e di naufragi, raffigurata nei quadri votivi. La fiaba che si ricava dalle tele di Mazzella nasce dalla fatica, dai terrori superati, e dalla sublimazione di essi.

Fin dagli anni giovanili Mazzella intuisce che la felicità è soltanto un’idea e che un’isola, sia pure ridente come Ischia, è una sorta di specchio capovolto delle cose per cui, chi sa guardarvi dentro, vi scopre alcune leggi fisse del mistero. Questa coscienza e questa conoscenza sono alla base della tematica mazzelliana.

Tutto sembra sospeso nella pittura dell’artista ischitano. Tutto sembra il frutto di un sogno di un fanciullo. Tutto vi appare levigato, pulito, ordinato come nella casa di una fata o di un buon pescatore. Ma tutto è, in realtà, legato al discorso della “ pena di vivere” e delle sue articolazioni, sollevata in una sorta di coagulazione estatica del dolore.

Io non so se la mia impressione si potrà ripetere nei lettori dei quadri di Mazzella. Ma a me sembra che ogni sua tela sia un evento, un pane pasquale, una resurrezione deposta in una atmosfera di speranza ai piedi della Provvidenza. E infatti curioso come questo pittore di cieli ampi, di mari sconfinati in un non so che di orientale, spinto da un suo naturale panteismo, rientri poi in una calda intimità cristiana. La tentazione a fare il contrario sarà stata forte.

Potendo disporre di un paesaggio fisico e umano coloratissimo Mazzella sceglie pochi colori, poche forme, pochi sentimenti e della grande metafora pagana, che ricopre la leggendaria isola, ne trae una lezione di modestia. Trasporta il mito sulla tavola del nostro quotidiano.

Questo bisogno di non calcare la mano; il rifiuto di dipingere con il pennello bagnato nella violenta colorazione della sua isola; il bisogno di esprimersi in maniera delicata; questo sapore e colore di confetto di ogni tela di Mazzella la dice inoltre lunga sulla sua posizione contro gli orrori cartellonistici di tanta vernice contemporanea. Mazzella gli “orrori” della vita di oggi li ha sempre combattuti con i segni e con i vessilli della sua la boriosa arte.

DOMENICO REA (1983)

Un Artista dal cuore antico

Mario Mazzella, probabilmente, è l’unico depositano spirituale del recente passato dell’Isola d’Ischia, ultimo segmento di un lungo ciclo storico, che parte dalla colonizzazione greco-euboica e si chiude definitivamente con l’inizio del boom turistico del secondo dopoguerra. Il suo animo è rimasto là, con la sua purezza di bambino, a fare da guardia all’incantamento. Ischia non è un dono della memoria: lui la palpa, la vive, la soffre, la riporta nel presente ogni volta che prende il pennello nelle mani; il pennello è il tirso magico che lo conduce con un affiato nel suo malinconico paese delle favole. La fonte artistica, che è nel suo profondo e da cui attinge, è sempre ancorata a quell’epoca. Il suo stupore, pur continuo, non ha mai accettato il presente; la sua Isola è quella della sua infanzia, abbastanza incerta e penosa per tutti: l’acqua da attingere al pozzo comune, il pane con la tessera, la farina rossa, i carretti a due ruote, i pescatori a rammendare per una vita le stesse reti, la madre che lo conduce per mano attraverso gli stenti di ogni giorno, le chiese — rimaste intatte nella loro monumentalità e nella loro apparenza estetica — gli danno la sicurezza che quel passato esiste ancora. Non è il passato però che lo domina attraverso una sovrastruttura culturale, ma quel modo di vivere che per secoli è rimasto simile a se stesso. La sua ispirazione artistica respinge quello che è avvenuto dopo, ma si fa largo anche il tempo di un uomo che, giunto alla maturazione sociale, si vuole raccontare attraverso strade diverse, esaminare il suo tempo vissuto con gli altri, oggi sicuro che la sua fonte poetica non ne verrà contaminata.

È una verifica che l’uomo impone all’artista: se il suo animo non si può piegare al presente, c’è anche una vita di relazione che non può essere abbandonata al suo destino. Ed ecco raccogliere fotografie, dove si constata con mano che la sua notorietà occupava sempre maggiori spazi: amici d’infanzia, personaggi che hanno fatto storia, in progresso e in regresso, nella nostra Isola, altri che sono scomparsi, autorità civili, ecclesiastiche e militari, altri sempre presenti a tutte le mostre che del pittore si allestiscono.

Ma questa volta non si va a scoprire il nuovo dell’Artista, c’è l’uomo che si è fatto avanti con determinazione per scoprire se la sua vita di relazione è reale oppure appartiene ad un mondo fantastico come i suoi dipinti. Una contesa tra l’artista e l’esistenza. Ma la fotografia fa parte dell’immagine, e con lei ci si concilia più facilmente; più arduo conciliarsi con la sua bibliografia, con gli scritti che, anche se parlano di lui, della sua arte, usano il linguaggio attuale, moderno, così l’innesto diventa più gravoso, lo affanna, perchè gli parlano di un’altra isola, quella fra i più alti redditi d’Italia, quella che ha sacrificato al benessere materiale le idealità più radicate, quella che vuole preservare il paesaggio e l’ambiente senza rimetterci nulla, al massimo a spese del vicino: per se stessi si ha sempre pronta una giustificazione. L’Ischia del denaro a tutti i costi, del benessere materiale a tutti i costi, della droga, dell’intolleranza, della mancanza di solidarietà. Un’Ischia che ormai non parla più il linguaggio della civiltà contadina, quando la parola era un macigno, più forte di un rogito notarile.

Malgrado tutto Mazzella la vuole esplorare quest’isola com’è oggi, senza timore di una dissacrazione all’impatto. Ma non va a presa diretta: con il suo delicato approccio e con la sua umanità, attraverso il filtro della fotografia (che pur comunque assume una funzione altamente evocativa), è sicuro di non offuscare quella autentica, la sua. E con coraggio dà il via alla esposizione delle fotografie, dei libri, che parlano della sua vocazione artistica, della sua arte, della purezza del suo linguaggio pittorico, con personaggi, con autori, con tutti coloro che passano dinnanzi alla moviola del ricordo.

Forse lui non ha ancora chiarito con se stesso che la sua è una scelta di libertà. Questo bisogno prepotente e sublime, che quando è autentico travalica tutto: non c’è timore di rischio che tenga. E venuto il momento di proiettarsi fuori da se stesso. Ma i soggetti dei suoi dipinti ritornano ciclicamente, con un’ossessione benefica e purificatrice: le reti, il pane, il pesce, il mare, la barca, i conigli, le venditrici, le angurie, il mare, il mare, il mare, le chiese come sculture, la madre, le madri, la maternità, i bambini, i nudi, i seni materni, poi il ciclo riprende il suo cammino, e ancora il mare, il mare, il mare!... La sua è una pittura figurativa sui generis, soffusa di religiosità, ma di una religiosità immanente, quella del suo passato, quella che Giuseppe d’Ascia chiamava la religione della terra natale, quella che lui ha innalzato agli onori dell’altare dell’Arte: l’Isola d’Ischia che non c’è più, quella della sua giovinezza, quella della nostra infanzia, quella degli emigranti, quella dei nonni che raccontano ai nipoti com’era difficile trovare un lavoro, com’era difficile cibarsi, com’era difficile curarsi (mortalità infantile altissima); ma c’erano anche tante piccole gioie veramente autentiche: quali? Sono tutte là, immutate ed immutabili, nei dipinti di Mario Mazzella, tra pittura e poesia, tra sogno e realtà.

NINO D’AMBRA  (1984)

Scriveva Matisse ad Apollinaire, dopo un viaggio in Grecia: “Cerco il rosso più rosso del rosso, il blu più blu del blu” e ancora “io sento l’essenza esplosiva del colore in modo puramente istintivo; il colore è forse, più ancora del disegno, una liberazione”. E allora ricerca del “blu cobalto puro” nasce uno dei capolavori dell’arte contemporanea, “La danse”. Una ricerca ossessiva sul colore, sulla sua purezza, sugli accostamenti inediti — “proviamo il rosso vicino al blu e al verde” scriveva ancora Matisse — che porterà il gruppo di Chatou a scrivere “i colori sono cariche di dinamite”.

Ho ricordato il colore dei fauves per parlare della pittura di Mazzella, dei bianchi, dei blu, degli ocra che raccontano la storia di un pittore e di un’isola dagli occhi blu. Blu è forse il colore predominante nel mondo, con le sue sfumature grigie e rosee, grevi o leggere, ridenti o cupe. E blu è il mare di Ischia, blu sono le barche, blu gli ombrelloni sulla spiaggia bianca. E Mazzella dipinge, in alcuni dei suoi quadri più belli, adoperando tutte le sfumature del blu. Le barche, il cielo, il mare, le trasparenze della chiesa hanno una fisicità tale che si dimentica l’assenza dell’uomo nel quadro. La natura parla e racconta la storia dei marinai, l’attesa delle famiglie della gente di mare, le invocazioni al Signore perché conceda pesca abbondante e tempo buono. Ma è una fisicità serena, quasi allegra. Le torri bianche sembrano aspettare l’incantesimo dello stregone di Walt Disney per animarsi, parlare, danzare per poi tornare a sorridere immobili dopo lo scherzo. Tutto è racconto nella pittura di Mazzella. Ci sono le cose non dette. Lo sguardo di tenerezza, o forse di intesa o forse di compiacimento della donna con il volto coperto dall’asciugamano che guarda il suo compagno intento a sbrogliare le reti. Ma ci sono anche le malinconie dell’amore, nella donna che vende il pesce, nella solitudine dell’attesa. E qui, con maestria, in un gioco di curve e controcurve, tutto diventa evanescente, anche se le forme sono chiuse, rigide, pesanti, contrapposte allo spazio esterno. E proprio attraverso il colore, in questo caso attraverso gli azzurri, Mazzella si libera dell’eredità dei padri storici della pittura contemporanea, a lui cari. Così la fisicità di Casorati, gli enigmi di Modigliani, la musicalità di Matisse, diventano solo una citazione spontanea, quasi dimenticata. Mazzella gioca con questa sorta di alfabeto della pittura per reinventare un linguaggio nuovo. Il suo linguaggio con cui parla di quest’isola magica, intrisa di sole e di malinconia.

CLAUDIO ANGELINI  (1990)

Mario Mazzella pittore d’Ischia. Così viene definito con un’espressione a lui cara e che accetta volentieri. E non solo, certo, come indicazione biografica, riferita al luogo dove egli è nato, vive ed opera. Ma perché l’isola solare e mediterranea è fonte continua della sua ispirazione e costituisce tanta parte, un tema costante, dell’ambiente e del paesaggio, dei volumi e dei colori, della sua visione pittorica.

L’immagine d’Ischia, il paesaggio, il mare, le case, costituiscono sovente il tema unico delle sue tele ma spesso ne sono anche lo sfondo nelle composizioni con figure. Un paesaggio che si distacca molto dal vedutismo ottocentesco napoletano, dalla descrizione in qualche modo idillica delle “gouaches” e degli acquarelli che caratterizzarono ad esempio la Scuola di Posillipo. Le visioni di Mazzella sono, ad un tempo, documento e trasposizione fantastica, essenzializzata, dove il gusto talvolta “ naif” si rassoda in compatte sequenze di volumi architettonici.

L’architettura mediterranea di Ischia emerge in tutto il suo carattere di accumulazione spontanea. Le case erette secondo la tradizione locale, i tetti, le altane, le terrazze alzate su1 mare, le coperture a botte, le arcate a luce ribassate, le scale esterne. E le chiese, le cupole, i contrafforti di muri, il castello aragonese, nella sua splendida solitudine di convento e roccaforte, scoglio a mare e cittadella. E la parte più antica dell’Isola, quella che tuttora si conserva e vive nel borgo marinaro di Ischia Ponte. Ed un senso di antico si coglie anche nelle figure, nelle tuniche e nei pepli degli uomini e delle donne, segno di una classicità che permane nella memoria.

Antica e attuale è la fatica dei gruppi che lavorano alle barche e alle reti, sulla spiaggia o tra le case. Antico e presente il sentimento del sacro nelle Natività e nelle Crocifissioni.

 Mario Mazzella, cinquant’anni di lavoro. Ed ora l’artista riunisce nella Torre dell’Orologio, ad Ischia Ponte, le testimonianze della sua creatività: le sue opere, ma anche i cataloghi, i libri in cui compaiono gli scritti e i saggi a lui dedicati.

E le fotografie, immagini di vita vissuta, di tappe ed episodi del suo percorso di uomo e di artista, dal 1938 ad oggi. Il pittore all’opera, nelle strade e tra la gente, la sua galleria, le mostre, gli incontri con personalità della cultura, della politica, dello spettacolo, con i suoi estimatori e collezionisti. Cinquant’anni dedicati all’arte, ad Ischia, al proprio mondo poetico. Un momento di sosta per ricordare, per riscoprirsi, per riprendere il cammino con lo stupore e il fervore di sempre.

AMELIA CORTESE ARDIAS  (1990)


Con questa mostra documentaria sull’attività cinquantennale del pittore Mario Mazzella, il Centro di Studi su l’Isola d’Ischia vuole rendere omaggio non solo ad un artista che, con la sua pittura solare, ne canta le bellezze paesaggistiche ed artistiche, e la vita semplice, e al tempo stesso densa di fervore, della gente umile dell’Isola d’Ischia, ma soprattutto un socio ed un dirigente attivo ed entusiasta che ha offerto, ed offre ancora nell’ambito del Consiglio di Amministrazione un contributo di idee e di iniziative di estrema importanza per la realizzazione delle finalità che lo Statuto impone alla nostra Associazione.

Personalmente, in tempi ormai lontani, sono stato alunno di Mario Mazzella in una scuola privata di Ischia, ed anche se non è riuscito ad accendere in me la sacra fiamma dell’arte, dal momento che non ero terreno fertile perché potesse germogliare, mi ha sempre colpito fin da quegl’anni la sua pittura che aveva come fonte di inspirazione Ischia nelle sue caratteristiche inconfondibili, nelle sue architetture, nelle scene della vita di tutti i giorni che si svolge tra i pescatori di Ischia Ponte.

È una visione serena e al tempo stesso colta della esistenza che si manifesta in gesti densi di significati, propri di una cultura millenaria. I suoi paesaggi e le sue figure si beano nella luce serena del sole ischitano, immerse quasi in un’atmosfera di sogno evocata dalla fantasia di un poeta.

Il mondo di Mario Mazzella è il mondo dei nostri sogni nei quali ci rifugiamo senza renderci conto che quel mondo si squaderna intono a noi silenziosamente perché il ritmo convulso della nostra esistenza ci impedisce di assaporare le gioie di una vita semplice che si alimenti di cose piccole e semplici.

Nel rendere omaggio con questa mostra ad un cantore autentico della nostra Isola, il Centro di Studi vuol dire anche grazie a Mario Mazzella per tutto questo e per quello che la sua arte significa per la nostra Isola.

AGOSTINO DI LUSTRO  (1990)

"L’Arte come Patria" in Mario Mazzella

All’improvviso, uno scopre - o, meglio ancora, conferma - qualcosa che sempre aveva intuito: l’arte come patria. E, nel mio caso, come patria mediterranea.

Luce, colori, linee, forme, sentimento di esaltazione, vitalità esuberante, storia, sensualità, cultura, invece, dei vincoli giuridici storici ed affettivi che ordinano come nazione la terra dove si nasce.

Perché noi mediterranei non nasciamo in un  luogo, città o paese, nasciamo in un sentimento, in una sensazione, in una cultura, in una forma di essere, in una filosofia che non ha più legge che quella dell’anima che, colma di sensualità, di creatività e di colori, dà vita ad un’arte di forme e di luci, che sentiamo - più che comprendiamo - e con la quale vibriamo perché è la nostra, la manifestazione esterna della nostra vita, della nostra patria.

E, così, è indifferente dipingere in Almeria come facevano “Los Indalianos” (gruppo di pittori spagnoli, creato in Almeria, nel 1945 da Jesùs de Perceval, n.d.t.) - che in Alessandria, noi Cicladi o in Ischia, come fa Mario Mazzella: la patria sempre è la stessa.

Chi è Mario Mazzella?

Un uomo semplice, discreto, magro, di età indeterminata, che non richiamerebbe la nostra attenzione se non fosse perché, da quel corpo così asciutto, scaturisce una incontenibile - ed incontenuta - ricchezza di sensazioni che, grazie alla capacità delle sue mani per dare forma a quello che sente la sua anima, si trasforma in arte.

Mario Mazzella potrebbe essere benissimo fratello di Perceval, di Canades, o di Carmita Pinteno, che considero i più autentici depositari dello spirito fondazionale del “Movimento Indaliano”, intesa come rivoluzione pittorica di avanguardia, di esaltazione della forma e del colore, di fronte al falso accademismo ellenizzante - il Neoclassico - dell’Europa colta, perché il mondo classico è quello del pescatore, quello del contadino, in contatto diretto con questo mare: il Mare della Cultura, il Mare di Ulisse, il Mare della civiltà, definitivamente il Mare Nostrum, di tutti noi, tagliati per la sua luce viva, definitrice, tagliente, che non lascia spazio al diffuso, all’incerto ed al vago. Noi mediterranei, siamo figli della luce.

 La luce è l’elemento classico, di fronte alle ombre del Nord. E, se la luce non può essere dipinta, essa però può essere vista: nel mediterraneo, sempre azzurro e bianco, quello che sorprende nell’Isola Verde - si che è possibile dipingere i suoi differenti stati d’animo, le sue forme e, anche - ed è la verità definitiva dell’Arte Mediterranea - i gesti con i quali ci parlano queste forme.

Ed in questa lotta per esprimere il gesto della forma, per fare da interprete delle forme, Mazzella, quasi come un dio, colloca mondi, forme, colori, linee; e si confronta con l’uomo, con la sua saggezza, con i suoi dolori... Tutto sta in funzione dell’uomo, ed il resto è l’ambiente dove vive l’uomo. Da qui, quindi, che, nei suoi quadri, capta la vita più che la realtà, semplicemente, perché non si può copiare quello che si va a creare; da qui che dipinga mare, fino ad avvertire odori; che dipinga l’uomo fino a che parli l’uomo.

E come lo fa? Con la filosofia della semplicità, della sincerità, del tratto apparentemente semplice e categorico della curva sensuale (pescatrice, donne massicce, cupole, barche, onde) accentuata, se possibile, per i pochi tratti retti, il ché produce un equilibrio fra il sentimento, la luce e la forma, e non altro che questo è l’anima mediterranea: un campo vergine, con fertilità propizia alla nascita.

E, li nella sua piccola Isola Verde e quasi vergine - nonostante tutto - Mazzella sente e dipinge il battito della vita con la tecnica del “l’aspira e rigetta” - quando concretizza in ogni quadro quella formulazione astratta e meravigliosa del Mediterraneo - la luce - in una ordinazione geometrica delle forme più che in una combinazione fredda dei colori, perché il colore, alla fine non è altro che l’epidermide della forma: la buccia con la quale, al pelarla leviamo il colore alla mela.

Mazzella in ogni quadro infonde la realtà concreta l’astratto. E se Kant disse: “io non ho visto l’uomo, soli uomini”, che altro, se non una creatura, è ogni quadro? E che, se non uomini - o quadri - autentici ed in sintonia nel modo di vivere; autentici nell’affermare che l’arte e la vita sono due termini che non si potrebbero separare mai, che non si può vivere in un modo e dipingere in un altro; autentici nel vivere e dipingere con uguale senso e con le stesse forme, ad ogni riva del Mediterraneo, sono una patria?

A me, logicamente, mi emozionò scoprire l’arte ed il Mediterraneo come patria.

FAUSTO ROMERO – MIURA (1991) Dal Giornale IDEAL di Andalucia (Spagna)

• …Mazzella ha studiato a fondo De Chirico e Carrà, Van Gogh e Gauguin, e più da vicino Emilio Notte, ma il suo lavoro è stato quello di addolcirli, di addomesticarli, di trasformare la loro grande lezione nel suo linguaggio, semplice, convinto che nella pittura non è possibile barare, non si po’ essere diversi da quello che si è.  Per questo Mazzella non farà metafisica alla De Chirico, non cospargerà la sua tela di colori allucinanti alla Van Gogh, non riempirà le sue tele delle geometrie aride di Notte.

LUCIA BARILE (2010)

 • …Sul cavalletto l’ultimo lavoro di Mario raffigura due donne e, sullo sfondo, il castello. Solo le figure sono appena abbozzate, eppure sembrano scrutarci, coi loro occhi dolci e malinconici a testimoniare i ricordi del loro autore.

TONINO DELLA VECCHIA

Pagine secondarie (1): Testimonianze
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